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IL GIOIELLIERE DELLE DIVE E DEI DIVI - Fernando Trequattrini
PREFAZIONE
Chi di noi non si è mai trovato a desiderare di vivere un’esistenza patinata, ad “invidiare” vite non nostre, a rimirare empirei dove come stelle brillano i nostri idoli collettivi, autentiche incarnazioni delle nostre più facili equazioni: ricchezza=felicità, successo=soddisfazione, fortuna=riuscita e così via, in una continua tale perfetta coincidenza dell’interiorità con l’esteriorità da rendere la vita piatta come un disegno da ritagliare su carta, dove sostanza e apparenza non sono più un binomio.
Talvolta qualcuno penetra così tanto nel mito popolare da renderlo animato, entra nella fiaba credendo alla fiaba, si identifica a tal punto da diventare il personaggio di se stesso.
Di Fernando Trequattrini si sentiva parlare anni fa. Ancora oggi molti si ricordano benissimo di lui, il Gioielliere dei Divi e delle Dive, definizione che unisce e moltiplica due immagini che già singolarmente bastano a se stesse.
Allora nasce la curiosità, ci intriga entrare finalmente nella stanza piuttosto che continuare a sbirciare dalla serratura.
Allora entriamo, sebbene invitati, ancora quasi di soppiatto perché sappiamo che ad attenderci ci sarà il mirabolante spettacolo di quello che sempre abbiamo solo immaginato.
Fernando, anche lui, era entrato in un giorno “fortunato” nella stessa stanza delle meraviglie che la maggior parte di noi può solo continuare a immaginare per tutta la vita. Ad essere accolti nell’Olimpo ci si sente riconosciuti come figli, fratelli, compagni, ci si dona grati e riconoscenti, pronti a dare tutto. Perché il fortunato sa di essere stato ‘ammesso’, lui che era venuto su da una semplicissima normalità dove non è mancato il sacrificio. Si entra nel paradiso, dove la gioia si sostituisce al dolore.
Si elargiscono i doni più preziosi, quelli autentici che appartengono all’anima, forse per ripagare uno status così inaspettato da metterci quasi a disagio.
Ma qualcosa non funziona. L’oro è solo simbolo esteriore per l’anima, non sostanza. E chi vive solo di oro deve prendere da qualcun altro la sostanza dell’anima.
E quando tutto l’oro è stato animato, lo scambio è compiuto, le meraviglie riprendono vita, il mito popolare è stato alimentato attraverso il sacrificio della vittima che ora, svuotata, può essere di nuovo estromessa dalla stanza.
Di certi meccanismi dell’immaginario collettivo si può, talvolta, divenire protagonisti involontari, questa la storia di Trequattrini che ha vissuto in prima persona nella trama fittizia di un sogno sognato da tutti, riuscendo però dove altri falliscono: lui ritorna a se stesso, si ritrova, capisce di essere stato capace, nonostante tutto, a non perdere la propria identità, di avere ancora l’integrità che occorre per ricominciare a vivere, che non tutto è perso quando tutto è andato perso.
E noi vorremmo dirgli che su di lui avremmo scommesso a favore. Lo capiamo da come si racconta, dall’incredulità che apertamente ci manifesta e a cui puntualmente ritorna nel testo, anche da quel malcelato desiderio - ancora irrisolto – che lo fa guardare indietro con dichiarata nostalgia, facendoci però capire di non aver ceduto al cinismo, malattia dilagante dei nostri tempi.
Di questo racconto semplice ma utile gli siamo debitori, per avere tolto a quella serratura dove talvolta vorremmo spiare, un po’ del suo fascino.
Per averci ricordato che la vita è ciò che è e non ciò che potrebbe essere.
Valeria Faillaci