- Store
- >
- Categorie
- >
- Terre Sommerse Edizioni
- >
- Libri
- >
- Prosa e Versi
- >
- La Luna Storta - Fondata da I.Evangelisti
- >
- NOTTURNI - Vincenzo Mastropirro
NOTTURNI - Vincenzo Mastropirro
SKU:
€15.00
€13.00
€13.00
Non disponibile
per articolo
...la musica e la poesia bramano
il lento rigore del germoglio.
Vincenzo Mastropirro
DENTRO LA NOTTE
Silvana Kühtz
Ho riflettuto a lungo sull’inutilità delle prefazioni ai libri.
Il fatto è che da lettrice le salto quasi sempre a piè pari per vari motivi. Spesso vi sono riassunti i contenuti del libro, il che leva inopinatamente parte del gusto della lettura. In un volume di poesia a volte la prefazione anticipa, analizza, interpreta e succede che poi non puoi più cancellare l’informazione che t’è stata data. È proprio come l’udito, un senso incontrollabile e involontario, se hai sentito hai sentito, inutile fare finta.
O ancora, le introduzioni sono affidate a chi si effonde in peripezie tecniche e commenti scientifici, che non solo mi fanno perdere l’altra metà di gusto della lettura del libro in questione, ma mi fanno sentire ignorante. Non che io non lo sia, intendiamoci, ma da lettrice ignorante vorrei essere incoraggiata a leggere il libro che sto per leggere e non quest’altro saggio che ne è la presentazione. Quindi, rullo di tamburi, lo scrivo, penso che le presentazioni-prefazioni-introduzioni ai libri siano inutili.
E allora che ci faccio qui?
Unico motivo per introdurre un libro che ti è piaciuto è invogliare incuriosire, senza fronzoli. Una presentazione se proprio ci deve essere, deve risvegliare il potenziale lettore, farlo pensare, fargli sorgere domande, e non dargli nessuna risposta. Per la poesia poi, mi piace citare Ferlinghetti: Come un vaso di rose una poesia non la si deve spiegare.
Eccoci qua nel libro di Vincenzo Mastropirro, Notturni. La parola notturno ha tante accezioni. Come aggettivo ci parla di qualcosa che ha a che fare col segreto e con l’intimità, con le paure, i pensieri martellanti, i turni logoranti del lavoro, i viaggi, le traversate, con le polluzioni, e con l’amore, con le visioni le fantasie, il sonno e l’insonnia. Dentro la notte si srotola un universo parallelo di lavori, di notte soltanto si aprono alcuni fiori e svolazzano le falene, solo di notte alcuni predatori si appostano e calano sulla preda. Il notturno poi, non solo è “composizione strumentale, originariamente destinata all’esecuzione all’aperto e di notte, e in pittura una scena notturna con effetti di luce particolarmente suggestivi” ma, consultando il dizionario scopro che è pure l’ufficiatura della messa nella Chiesa antica. Queste atmosfere di vita quotidiana, di alberi e natura, di un sacro fuoco che sta nella parola e nella sua condivisione si dispiegano nei Notturni di Vincenzo, che sono anche bisbigliati, urlati e masticati, come scoprirà il lettore delle quattro sezioni del libro.
Vincenzo Mastropirro è un musicista, anche la sua poesia segue un ritmo, è centellinata ed essenziale come le note asciutte di un pezzo ben scritto. Tutti i motivi della notte sono presenti, è un libro di notturni, non un libro consolatorio, di rosee visioni e allo stesso tempo non è un libro oscuro. Evidentemente l’autore ha gran confidenza con il mondo turbolento del sentire, con il portato della voce, gli spazi bui dell’attualità, la terra, il cielo e la morte. Gli accadimenti minimi del nostro sentire vestono le pieghe profonde del difficile momento presente; la memoria, il destino si aprono con urgenza sensoriale al lettore. Ogni poesia di questo libro è un racconto di sensazioni, ma anche un quadro tattile, visivo, olfattivo, gustativo, una polifonia sensoriale. Il ritmo essenziale mi fa pensare ad alcuni grandi poeti del Novecento.
Ho conosciuto Vincenzo Mastropirro qualche anno fa, l’ho sentito dire alcune poesie nel suo dialetto ruvido arrochito e aspro, con un impeto e una convinzione dal passo sicuro, non senza l’ironia di chi la sa lunga, e così lo ritrovo dentro questi versi, nel leggerli sento la sua voce. Invito anche il lettore a legger questi versi a voce alta, suonare la musica della poesia con la voce, aggiunge sempre una quarta dimensione, quella della materialità sonora, senza la quale il verso rischia di restare affogato nella carta. Scrive di sé, Vincenzo, di un sé passionale che ci porta alla scoperta dei luoghi e dei tempi, parla di un uomo del Sud, di un cittadino del mondo, scrive di radici e di futuro, e lo fa talvolta in italiano, talvolta in dialetto – che egli riconosce come la sua lingua – due modi di essere al mondo e di guardare al giorno che viene. Dopo la notte c’è sempre l’alba, l’inevitabile ritmo dell’eternità.
il lento rigore del germoglio.
Vincenzo Mastropirro
DENTRO LA NOTTE
Silvana Kühtz
Ho riflettuto a lungo sull’inutilità delle prefazioni ai libri.
Il fatto è che da lettrice le salto quasi sempre a piè pari per vari motivi. Spesso vi sono riassunti i contenuti del libro, il che leva inopinatamente parte del gusto della lettura. In un volume di poesia a volte la prefazione anticipa, analizza, interpreta e succede che poi non puoi più cancellare l’informazione che t’è stata data. È proprio come l’udito, un senso incontrollabile e involontario, se hai sentito hai sentito, inutile fare finta.
O ancora, le introduzioni sono affidate a chi si effonde in peripezie tecniche e commenti scientifici, che non solo mi fanno perdere l’altra metà di gusto della lettura del libro in questione, ma mi fanno sentire ignorante. Non che io non lo sia, intendiamoci, ma da lettrice ignorante vorrei essere incoraggiata a leggere il libro che sto per leggere e non quest’altro saggio che ne è la presentazione. Quindi, rullo di tamburi, lo scrivo, penso che le presentazioni-prefazioni-introduzioni ai libri siano inutili.
E allora che ci faccio qui?
Unico motivo per introdurre un libro che ti è piaciuto è invogliare incuriosire, senza fronzoli. Una presentazione se proprio ci deve essere, deve risvegliare il potenziale lettore, farlo pensare, fargli sorgere domande, e non dargli nessuna risposta. Per la poesia poi, mi piace citare Ferlinghetti: Come un vaso di rose una poesia non la si deve spiegare.
Eccoci qua nel libro di Vincenzo Mastropirro, Notturni. La parola notturno ha tante accezioni. Come aggettivo ci parla di qualcosa che ha a che fare col segreto e con l’intimità, con le paure, i pensieri martellanti, i turni logoranti del lavoro, i viaggi, le traversate, con le polluzioni, e con l’amore, con le visioni le fantasie, il sonno e l’insonnia. Dentro la notte si srotola un universo parallelo di lavori, di notte soltanto si aprono alcuni fiori e svolazzano le falene, solo di notte alcuni predatori si appostano e calano sulla preda. Il notturno poi, non solo è “composizione strumentale, originariamente destinata all’esecuzione all’aperto e di notte, e in pittura una scena notturna con effetti di luce particolarmente suggestivi” ma, consultando il dizionario scopro che è pure l’ufficiatura della messa nella Chiesa antica. Queste atmosfere di vita quotidiana, di alberi e natura, di un sacro fuoco che sta nella parola e nella sua condivisione si dispiegano nei Notturni di Vincenzo, che sono anche bisbigliati, urlati e masticati, come scoprirà il lettore delle quattro sezioni del libro.
Vincenzo Mastropirro è un musicista, anche la sua poesia segue un ritmo, è centellinata ed essenziale come le note asciutte di un pezzo ben scritto. Tutti i motivi della notte sono presenti, è un libro di notturni, non un libro consolatorio, di rosee visioni e allo stesso tempo non è un libro oscuro. Evidentemente l’autore ha gran confidenza con il mondo turbolento del sentire, con il portato della voce, gli spazi bui dell’attualità, la terra, il cielo e la morte. Gli accadimenti minimi del nostro sentire vestono le pieghe profonde del difficile momento presente; la memoria, il destino si aprono con urgenza sensoriale al lettore. Ogni poesia di questo libro è un racconto di sensazioni, ma anche un quadro tattile, visivo, olfattivo, gustativo, una polifonia sensoriale. Il ritmo essenziale mi fa pensare ad alcuni grandi poeti del Novecento.
Ho conosciuto Vincenzo Mastropirro qualche anno fa, l’ho sentito dire alcune poesie nel suo dialetto ruvido arrochito e aspro, con un impeto e una convinzione dal passo sicuro, non senza l’ironia di chi la sa lunga, e così lo ritrovo dentro questi versi, nel leggerli sento la sua voce. Invito anche il lettore a legger questi versi a voce alta, suonare la musica della poesia con la voce, aggiunge sempre una quarta dimensione, quella della materialità sonora, senza la quale il verso rischia di restare affogato nella carta. Scrive di sé, Vincenzo, di un sé passionale che ci porta alla scoperta dei luoghi e dei tempi, parla di un uomo del Sud, di un cittadino del mondo, scrive di radici e di futuro, e lo fa talvolta in italiano, talvolta in dialetto – che egli riconosce come la sua lingua – due modi di essere al mondo e di guardare al giorno che viene. Dopo la notte c’è sempre l’alba, l’inevitabile ritmo dell’eternità.