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VOSG D' CIAZZA (Poesie in dialetto gaollitalico piazzese) - di Ernesto Caputo
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ISBN 9788869010415
€15.00
€15.00
Non disponibile
per articolo
Raccolta di poesie in dialetto galloitalico piazzese
BIOGRAFIA
A cura del figlio Enzo
Ernesto Caputo Bottari nacque a Piazza Armerina il 27 maggio 1925 da Don N’zulo (Vincenzo) e da Donna Ida Bottari. La sua nascita fu un miracolo perché dopo molti aborti la nonna diede alla luce un piccolo fagotto di un chilo e settecento grammi che fu subito fasciato, avvolto nel cotone e nella lana e battezzato in casa per paura che morisse. Fu nutrito con il latte della balia e delle asine che il cugino Raffaele Nocera, per conto degli zii, andava a comprare nelle fattorie.
Ernesto non morì! Crebbe forte e vigoroso, viziato dalla madre e dalla zia Matilde Bottari (insegnante di francese la quale aveva conseguito il dottorato alla Sorbona) e dagli zii: Peppino Parisi (medico) e Umberto Parisi (vice Prefetto a Caltanissetta); circondato da tanti cari e meravigliosi cugini paterni (Caputo,Roccella,Conti e Parlato) e materni (Parisi e Trigona di Rabugino).
Frequentò il Liceo Classico ai tempi dei Presidi Rabuazzo e Debole, distinguendosi per la sua bravura in Latino e Greco.
Dal Prof. Olindo Brighina - che in seguito diventerà suo parente acquisito - imparò a dipingere, passione che lo accompagnerà per tutta la vita.
Dalla zia Matilde riceveva lezioni di francese e dal padre, che per nove anni era stato a Buenos Aires per conto della Banca d’Italia, le riceveva di spagnolo. I genitori ritennero opportuno che imparasse anche l’inglese, così lo fecero preparare privatamente ed Ernesto divenne così bravo che riusciva a parlare sia l’inglese britannico che quello americano. Fu chiamato a fare l’interprete a Sigonella, ma la madre occultò la lettera per non separarsi dal figlio.
Si iscrisse in Medicina a Catania ma, dopo che i compagni gli fecero lo scherzo di gettargli un cadavere addosso, cambiò facoltà e optò, dietro consiglio dello zio Umberto, per la Facoltà di Giurisprudenza. Lo zio sognava una meravigliosa carriera per il nipote ma costui, sostenuti tutti gli esami, preparata la tesi, non andò mai a discuterla. Così lo zio lo sistemò al Banco di Sicilia ma ad Ernesto dava fastidio il rientro pomeridiano, così fu trasferito all’Esattoria dove rimase sino al pensionamento ricoprendo la carica di Cassiere.
Nel gennaio del 1951 sposò mia madre: Angela Bifera, figlia di don Paolo, un pasticcere originario di Acireale e di una santa casalinga. Il fidanzamento era stato osteggiato dalle donne di Casa Bottari-Parisi perché lo ritenevano di “basso rango”. Le loro origini aristocratiche e le parentele con famiglie blasonate non permettevano che la “figlia del pasticcere di Piazza Garibaldi” entrasse a far parte del loro clan . Così papà simulò un suicidio: si avvelenò. Finiti tutti in ospedale, la madre piangente chiese al figlio: “Perché l’hai fatto figlio mio! Cosa vuoi da noi?” la risposta fu: “Voglio la Bifera!” Al che il padre proruppe dicendo: “Figghiu mi, non è temp d’bif’ri”.
Il fatto sta che accompagnati dal suono dei violini si sposarono nella Chiesa di Santo Stefano (officiò il rito padre Messina) ed Angelina fu grandemente amata e rispettata da tutti, nobili e plebei.
Dal loro amore siamo nati: mio fratello Paolo Antonio (secondogenito) ed io, il primogenito.
Papà era uno spirito libero, mal sopportava vincoli, doveri, forme e apparenze. Le sue continue novità, le sue molteplici passioni rendevano difficile la vita coniugale. La mia povera e grande madre non ebbe due figli ma tre. La suocera, spesso, lo apostrofava dicendogli: “Erné! Sì trivulu d’ casa e spassu d’ vanedda”.
Ma proprio tutte queste stravaganze e passioni lo rendevano un personaggio simpatico e originale.
Coltivò le seguenti passioni: la musica (formando e dirigendo una band: “The Little Boys”); la pittura e la scultura; la caccia e la poesia (furono le sue preferite) e lo spettacolo (al Teatro Garibaldi) con il caro Alfredo Fontana. Fece da comparsa in alcuni film e si interessò di archeologia, egittologia, spiritismo e pranoterapia. Le barzellette, il ballo ed il canto erano il suo forte. Amava i turisti e spesso la domenica arrivava a casa con ospiti sconosciuti.
Stargli dietro era veramente difficile. Povera mamma!
Militante separatista. In tempi diversi fu con il padre un socialista, con il suocero un monarchico e con l’amico fraterno: Pino Prestifilippo, un liberale. Mai fascista.
Era amico di tutti e in particolare dei cani che tanto amava. Uno in particolare voglio ricordare: “CICCIO”, il nostro amato “Ciccio”.
Ricordo che quando, ogni giorno, tornava dall’Esattoria, era preceduto da una diecina di cani che gli erano affezionati. Mia nonna Mimì quando li vedeva spuntare: ‘ntâ cantunera , “Calava a pasta”. I fedeli amici di Ernesto erano, però, la disperazione del Ragioniere Abbate che, abitando al primo piano, era costretto a subirne fetore e ringhiate.
Negli anni della sua breve vita alcuni amici gli furono particolarmente cari: Pino Prestifilippo, Amerigo Licenziato, Cesare Santangelo, Emanuele Lo Giudice, Carmelo Trumino e tanti altri che non nomino per non essere ingiusto.
Un episodio, che vale la pena ricordare, è la riconciliazione, avvenuta in una stanza del vecchio Ospedale “Chiello”, grazie alla benevola complicità del Dott. Emanuele Lo Giudice, tra il buon sacerdote e l’ironico poeta. A suo tempo, Padre Carbone, si era ritenuto offeso e ingiuriato da una poesia, scritta nei suoi confronti da mio padre, e, per tutelarsi, aveva sporto denuncia per diffamazione. Tra i due era rimasto un astio profondo, a tal punto che, quando si incontravano, si negavano il saluto, guardandosi in cagnesco. Ritrovatisi ormai anziani ed ammalati, i due, dopo numerose e sospettose occhiate imbarazzanti, finirono col riconciliarsi e abbracciarsi, condividendo la stessa sorte e la stessa stanza.
Papà era un vulcano: ovunque c’erano feste c’era lui che recitava, imitava o cantava. Ricordo i teatrini improvvisati con zio Pepè e zio Ciccino e le meravigliose feste di Carnevale di Piazza Garibaldi. A casa, invece, o si rideva di cuore o si piangeva con lacrime amare.
Una cosa fu sempre costante: il suo amore per la sua Città. Amava Piazza con i suoi pregi e i suoi difetti. Amava la gente, la storia, le montagne e la natura. Amava dipingerla coi pennelli e raccontarla in Galloitalico.
In una sua poesia chiese a Dio:
“S’ n’ st’monn’zz’rè avess arrera
S’gnor, T’fazz na priera:
A mì ddundangh Tu nan m’è scaliè
Zzà voggh’ nasc’, zzà voggh’r’stè!”
Si spense il 14 gennaio del 1990 stroncato dal vizio del fumo. Maledetta sigaretta! Il giorno del suo funerale, avvenuto, per suo desiderio in Cattedrale, padre Bognanni disse: “E’ morto un poeta”. Piazza gli rese onore con una incredibile e commovente partecipazione.
Ernesto Caputo Bottari riposa, ricongiunto ai Suoi, nel Cimitero di Santa Maria di Gesù, sulla sua lapide feci incidere:
“Alle muse donò il cuore, a Piazza i versi, a noi lacrime e sorrisi”.
Maurizio Prestifilippo scrisse:
"Oggi, Piazza lo ricorda con la pubblicazione di queste umili e semplici poesie che, insieme ad altre, di più illustri Poeti, hanno raccontato la storia della nostra Città".
I personaggi descritti nelle poesie sono quasi tutti deceduti. Alcune poesie sono state omesse perché gli eredi delle persone descritte hanno preferito così in quanto le satire, in alcuni casi, erano pungenti. Per tutti gli altri, almeno per quelli da me conosciuti, è stato chiesto il permesso.
Il manoscritto fu da lui dedicato al cugino ed amico Avv. Alfonso Brighina.
I Figli ringraziano:
Il dialetto gallo-italico Piazzese è una vera e propria lingua, in quanto presenta delle particolarità del tutto uniche nell'intero panorama dei dialetti siciliani, avendo subito più di tutti l'influenza della lingua normanna in età medievale.
BIOGRAFIA
A cura del figlio Enzo
Ernesto Caputo Bottari nacque a Piazza Armerina il 27 maggio 1925 da Don N’zulo (Vincenzo) e da Donna Ida Bottari. La sua nascita fu un miracolo perché dopo molti aborti la nonna diede alla luce un piccolo fagotto di un chilo e settecento grammi che fu subito fasciato, avvolto nel cotone e nella lana e battezzato in casa per paura che morisse. Fu nutrito con il latte della balia e delle asine che il cugino Raffaele Nocera, per conto degli zii, andava a comprare nelle fattorie.
Ernesto non morì! Crebbe forte e vigoroso, viziato dalla madre e dalla zia Matilde Bottari (insegnante di francese la quale aveva conseguito il dottorato alla Sorbona) e dagli zii: Peppino Parisi (medico) e Umberto Parisi (vice Prefetto a Caltanissetta); circondato da tanti cari e meravigliosi cugini paterni (Caputo,Roccella,Conti e Parlato) e materni (Parisi e Trigona di Rabugino).
Frequentò il Liceo Classico ai tempi dei Presidi Rabuazzo e Debole, distinguendosi per la sua bravura in Latino e Greco.
Dal Prof. Olindo Brighina - che in seguito diventerà suo parente acquisito - imparò a dipingere, passione che lo accompagnerà per tutta la vita.
Dalla zia Matilde riceveva lezioni di francese e dal padre, che per nove anni era stato a Buenos Aires per conto della Banca d’Italia, le riceveva di spagnolo. I genitori ritennero opportuno che imparasse anche l’inglese, così lo fecero preparare privatamente ed Ernesto divenne così bravo che riusciva a parlare sia l’inglese britannico che quello americano. Fu chiamato a fare l’interprete a Sigonella, ma la madre occultò la lettera per non separarsi dal figlio.
Si iscrisse in Medicina a Catania ma, dopo che i compagni gli fecero lo scherzo di gettargli un cadavere addosso, cambiò facoltà e optò, dietro consiglio dello zio Umberto, per la Facoltà di Giurisprudenza. Lo zio sognava una meravigliosa carriera per il nipote ma costui, sostenuti tutti gli esami, preparata la tesi, non andò mai a discuterla. Così lo zio lo sistemò al Banco di Sicilia ma ad Ernesto dava fastidio il rientro pomeridiano, così fu trasferito all’Esattoria dove rimase sino al pensionamento ricoprendo la carica di Cassiere.
Nel gennaio del 1951 sposò mia madre: Angela Bifera, figlia di don Paolo, un pasticcere originario di Acireale e di una santa casalinga. Il fidanzamento era stato osteggiato dalle donne di Casa Bottari-Parisi perché lo ritenevano di “basso rango”. Le loro origini aristocratiche e le parentele con famiglie blasonate non permettevano che la “figlia del pasticcere di Piazza Garibaldi” entrasse a far parte del loro clan . Così papà simulò un suicidio: si avvelenò. Finiti tutti in ospedale, la madre piangente chiese al figlio: “Perché l’hai fatto figlio mio! Cosa vuoi da noi?” la risposta fu: “Voglio la Bifera!” Al che il padre proruppe dicendo: “Figghiu mi, non è temp d’bif’ri”.
Il fatto sta che accompagnati dal suono dei violini si sposarono nella Chiesa di Santo Stefano (officiò il rito padre Messina) ed Angelina fu grandemente amata e rispettata da tutti, nobili e plebei.
Dal loro amore siamo nati: mio fratello Paolo Antonio (secondogenito) ed io, il primogenito.
Papà era uno spirito libero, mal sopportava vincoli, doveri, forme e apparenze. Le sue continue novità, le sue molteplici passioni rendevano difficile la vita coniugale. La mia povera e grande madre non ebbe due figli ma tre. La suocera, spesso, lo apostrofava dicendogli: “Erné! Sì trivulu d’ casa e spassu d’ vanedda”.
Ma proprio tutte queste stravaganze e passioni lo rendevano un personaggio simpatico e originale.
Coltivò le seguenti passioni: la musica (formando e dirigendo una band: “The Little Boys”); la pittura e la scultura; la caccia e la poesia (furono le sue preferite) e lo spettacolo (al Teatro Garibaldi) con il caro Alfredo Fontana. Fece da comparsa in alcuni film e si interessò di archeologia, egittologia, spiritismo e pranoterapia. Le barzellette, il ballo ed il canto erano il suo forte. Amava i turisti e spesso la domenica arrivava a casa con ospiti sconosciuti.
Stargli dietro era veramente difficile. Povera mamma!
Militante separatista. In tempi diversi fu con il padre un socialista, con il suocero un monarchico e con l’amico fraterno: Pino Prestifilippo, un liberale. Mai fascista.
Era amico di tutti e in particolare dei cani che tanto amava. Uno in particolare voglio ricordare: “CICCIO”, il nostro amato “Ciccio”.
Ricordo che quando, ogni giorno, tornava dall’Esattoria, era preceduto da una diecina di cani che gli erano affezionati. Mia nonna Mimì quando li vedeva spuntare: ‘ntâ cantunera , “Calava a pasta”. I fedeli amici di Ernesto erano, però, la disperazione del Ragioniere Abbate che, abitando al primo piano, era costretto a subirne fetore e ringhiate.
Negli anni della sua breve vita alcuni amici gli furono particolarmente cari: Pino Prestifilippo, Amerigo Licenziato, Cesare Santangelo, Emanuele Lo Giudice, Carmelo Trumino e tanti altri che non nomino per non essere ingiusto.
Un episodio, che vale la pena ricordare, è la riconciliazione, avvenuta in una stanza del vecchio Ospedale “Chiello”, grazie alla benevola complicità del Dott. Emanuele Lo Giudice, tra il buon sacerdote e l’ironico poeta. A suo tempo, Padre Carbone, si era ritenuto offeso e ingiuriato da una poesia, scritta nei suoi confronti da mio padre, e, per tutelarsi, aveva sporto denuncia per diffamazione. Tra i due era rimasto un astio profondo, a tal punto che, quando si incontravano, si negavano il saluto, guardandosi in cagnesco. Ritrovatisi ormai anziani ed ammalati, i due, dopo numerose e sospettose occhiate imbarazzanti, finirono col riconciliarsi e abbracciarsi, condividendo la stessa sorte e la stessa stanza.
Papà era un vulcano: ovunque c’erano feste c’era lui che recitava, imitava o cantava. Ricordo i teatrini improvvisati con zio Pepè e zio Ciccino e le meravigliose feste di Carnevale di Piazza Garibaldi. A casa, invece, o si rideva di cuore o si piangeva con lacrime amare.
Una cosa fu sempre costante: il suo amore per la sua Città. Amava Piazza con i suoi pregi e i suoi difetti. Amava la gente, la storia, le montagne e la natura. Amava dipingerla coi pennelli e raccontarla in Galloitalico.
In una sua poesia chiese a Dio:
“S’ n’ st’monn’zz’rè avess arrera
S’gnor, T’fazz na priera:
A mì ddundangh Tu nan m’è scaliè
Zzà voggh’ nasc’, zzà voggh’r’stè!”
Si spense il 14 gennaio del 1990 stroncato dal vizio del fumo. Maledetta sigaretta! Il giorno del suo funerale, avvenuto, per suo desiderio in Cattedrale, padre Bognanni disse: “E’ morto un poeta”. Piazza gli rese onore con una incredibile e commovente partecipazione.
Ernesto Caputo Bottari riposa, ricongiunto ai Suoi, nel Cimitero di Santa Maria di Gesù, sulla sua lapide feci incidere:
“Alle muse donò il cuore, a Piazza i versi, a noi lacrime e sorrisi”.
Maurizio Prestifilippo scrisse:
"Oggi, Piazza lo ricorda con la pubblicazione di queste umili e semplici poesie che, insieme ad altre, di più illustri Poeti, hanno raccontato la storia della nostra Città".
I personaggi descritti nelle poesie sono quasi tutti deceduti. Alcune poesie sono state omesse perché gli eredi delle persone descritte hanno preferito così in quanto le satire, in alcuni casi, erano pungenti. Per tutti gli altri, almeno per quelli da me conosciuti, è stato chiesto il permesso.
Il manoscritto fu da lui dedicato al cugino ed amico Avv. Alfonso Brighina.
I Figli ringraziano:
- Il Prof. Marco Incalcaterra, per il suo costante e affettuoso interesse con cui, si è prodigato per la divulgazione e la stampa di questo testo. Grazie a lui questo libro vede la luce.
- Il Dott. Armando Siciliano, per aver desiderato, in tempi lontani, di pubblicare il manoscritto.
- La Prof. Lucia Todaro, per la sua disponibilità.
- La Dott.ssa Simona Politi, per aver utilizzato le poesie per la sua Relazione tra Galloitalico, Siciliano e Italiano presentata all’ASLI (Associazione per la Storia della Lingua Italiana).
- Tutti coloro che in Circoli , Scuole, Siti, hanno usato le poesie per la descrizione del Galloitalico.
- Il fotografo Mirko Favata, per le foto dei quadri contenute nel libro. Servizio realizzato a titolo gratuito e con apprezzata professionalità.
- Il Farmacista ed amico Maurizio Prestifilippo per la meravigliosa prefazione.
- Il Prof. Aldo Libertino, per l’immenso lavoro di traduzione, correzione e revisione fatto con grande impegno, dedizione, scrupolo e professionalità, per la sincera amicizia che lo legava ai nostri genitori. Grazie di cuore. E’ di Aldo Libertino il titolo dell’opera.
- L’ex Sindaco Prof. Carmelo Nigrelli e la Giunta di allora per aver progettato l’eventuale pubblicazione del libro per 850° Anniversario della fondazione della nostra Amata Città.
- L’attuale Sindaco Dott. Filippo Miroddi e alla Sua Giunta per aver concretizzato il progetto commettendo all’Editore Fabio Furnari la pubblicazione del libro.
Il dialetto gallo-italico Piazzese è una vera e propria lingua, in quanto presenta delle particolarità del tutto uniche nell'intero panorama dei dialetti siciliani, avendo subito più di tutti l'influenza della lingua normanna in età medievale.