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SENSE OF YOU - Stefano Frollano
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Gli scultori ellenistici di Rodi crearono opere capaci di suscitare uno spazio che è altro da quello reale, da quello fisico. Filisco accentuò questa caratteristica: le sue Muse, così teatrali, sono capaci di andare oltre i limiti stessi della rappresentazione. Alla Centrale Montemartini di Roma, è possibile ammirare la Polinnia, immagine tra le più indimenticabili della plastica greca. Questa Musa pensosa, è una giovane fanciulla vestita di un chitone di stoffa pesante che ricade in pieghe profonde. È avvolta in uno scialle di seta, trasparente e leggerissimo, con un lembo gettato dietro le spalle. La fanciulla è appoggiata a una roccia, il mento sulla mano, l’altro braccio stretto al petto. Una forma chiusa, in cui però indoviniamo attraverso il panneggio un impulso di moto che dal tallone rialzato arriva fino al vertice. L’avambraccio destro verso l’alto, il sinistro ad angolo retto rispetto a quello, il volto proteso, con solo il piede e la mano sinistra che escono appena dall’elegante vestito; la fanciulla si salda alla roccia, si fà roccia essa stessa, mentre la vita freme tutta nello sguardo, di intensità unica perché fugge oltre gli orizzonti del reale. Un’opera che vuole “esprimere l’inesprimibile”, un grido fatto pietra, l’aspirazione a superare non solo la riproduzione del reale, che sola non è mai arte, ma anche i limiti della rappresentazione, per esprimere, sia pure nelle figure riconoscibili, forme misteriose. La roccia è la frontiera del reale, la “siepe” di Giacomo Leopardi, quella siepe che impedendo al poeta il guardare fisico, lo costringe a trovare la propria capacità di immaginare, un vedere diverso, non fisico.
Molti secoli dopo, molti tramonti, albe, molte lacrime e sorrisi dopo, un grande scrittore, Philip K. Dick, ci ha dato un racconto straordinario: A Scanner Darkly. Sono condotto a lui dal disco di Stefano Frollano. L’opera si apre con una canzone di struggente intensità, e si chiude con la ripresa della stessa. Il suo titolo è Hello!. In questa canzone è citato il racconto di Dick, A Scanner Darkly.
Mentre ascoltavo le canzoni di Stefano, mi veniva sempre in mente l’immagine della Musa pensosa. E non capivo il perché. Forse, mi dicevo, perché anche questo autore nelle sue canzoni tenta di “esprimere l’inesprimibile”. Ma questo è il tentativo di tutta l’arte del ‘900. Ho capito il perché accostando l’immagine della Musa al racconto di Dick. Anche Frollano celebra la grandezza della donna nella poesia, come Filisco.
Il racconto di P. K. Dick, è la storia di un agente di polizia che, sotto copertura, s’infiltra in un gruppo di criminali, per scoprire fino in fondo la loro attività. Vive con loro, si droga con loro, agisce con loro; nella casa dove abitano installa degli scanners che registrano tutto quello che accade, e che lui controlla, sequenza dopo sequenza, soprattutto nei momenti in cui si assenta, su dei monitor alla centrale; vede sempre, vede tutto. Pian piano però comincia a provare sentimenti di amicizia e si innamora di una donna del gruppo. Capisce che in loro c’è qualcosa di buono, e vorrebbe aiutarli. Vorrebbe aiutarli a trasformarsi, ma non sa cosa fare. Entra in conflitto con sé stesso, s’interroga, riflette, si lacera. Mentre pensa alla donna che ama, capisce che per dare un rapporto trasformativo, è necessario comprendere l’altro fino in fondo. E lui non sa farlo. Inorridito si rende conto di essere quasi solo uno scanner. Come lo scanner, anche lui guarda la realtà, ma non sa vedere dentro le teste e i cuori. Il suo è un guardare fisico, che non getta luce, un guardare senza verità, un guardare oscuro. Vorrebbe trovare un altro guardare, altri occhi. Per questo è necessario costringersi a trovare la propria capacità di immaginare. Solo l’immaginazione fa vedere l’invisibile, solo la fantasia fa vedere la verità, permette la fusione dei termini verità e realtà. Amare una donna significa vedere dentro la testa e il cuore, significa averla prima immaginata, perché solo questo dà una vera capacità di rapporto. È la fantasia, questa donna interiore, che ti fa capire e amare la donna reale, altro da te.
Le canzoni di Stefano affrontano proprio questo tema. Sono tutte rivolte al dramma del rapporto interumano, all’incontro-scontro con la donna, il cui senso più profondo è quello di essere un essere umano diverso. Il rapporto, il conflitto, la separazione, una tristezza e una gioia di vivere, la ricerca della fantasia, di quella immagine interiore di donna che sola ti dà la verità e la verità del rapporto. Questa la poetica dell’autore: la ricerca di un guardare non fisico della realtà, la ricerca d’un vedere la realtà non fisica.
È questo il senso di Hello!, con la splendida citazione: A Scanner Darkly, un oscuro guardare.
La canzone è interpretata dalla voce maschile dell’autore, mentre la ripresa della stessa, alla fine del disco, è interpretata dalla voce femminile. Per superare un oscuro guardare bisogna trovare la fantasia, l’immagine interiore di donna; la propria identità maschile, la sua voce, si fanno tra parentesi, e la canzone di apertura alla sua ripresa, alla fine dell’opera, trova la voce femminile: è la fantasia, la donna interiore dell’autore che canta.
È questa la grande intuizione di Stefano Frollano.
Hello! è canzone di grande malinconia, di struggente dolcezza. È la chiave di lettura di tutte le canzoni: superare un guardare oscuro.
In Hello!, si racconta della perdita di qualcuno, di una separazione definitiva. La scoperta del proprio oscuro guardare fa trovare il dolore. Gli occhi si riempiono di lacrime in cui bagnare le dita, per toccare il dolore della perdita, il dolore della propria incapacità. Ma grazie a queste lacrime si trova anche la luce della speranza, la speranza di uno sguardo diverso, non solo fisico. Si può immaginare l’altro perduto, reinventarlo, trovare la sua piena verità come solo un parto della fantasia può fare. Si può trovare il senso pieno del rapporto, e di sé e dell’altro, rifiutando l’assenza. Solo l’immaginazione può scoprire chi si è perduto ancora vivo, e permettere di dirgli “Hello!”.
In apertura la voce di Stefano è come il sussurro d’un vento invernale, gonfio di luce, che spinge lontano l’oro morto di foglie cadute. L’interpretazione dell’autore, ricorda la voce di Clint Eastwood nella canzone Honkytonk Man, nel film omonimo. È un sussurro lacerato che si tinge a tratti di accenti rochi e appassionati. Hello! è l’alfa e l’omega di questo viaggio musicale.
Nella ripresa finale, le cadenze dolci e sofferte della chitarra di Stefano sono accompagnate dalla voce femminile. Si tratta di Gabriella Paravati. Straordinaria interpretazione anche questa. All’inizio è felicemente incerta, la tecnica sopraffatta dall’emozione, una voce sottilmente incrinata dal dolore, piena di commozione. Nelle prime frasi musicali sembra di ascoltar cantare una bambina, poi attraverso passaggi quasi impercettibili, le frasi che seguono sembrano interpretate dalla stessa però divenuta adolescente, e le successive, con nuovi colori, sembrano cantate dalla stessa con la sicurezza di una donna adulta.
Le altre canzoni alternano diverse voci femminili (Daria Venuto, Chiara De Nardis, Paola Casella e Laura Visconti). Rappresentazioni della fantasia dell’autore, che di volta in volta s’incarnano in diverse donne reali. E sempre cercano un’invenzione di linguaggio che racconta di separazioni, di tenerezze, di lacrime e sorrisi, di innamoramenti. “Quando ti sveglierai in un cielo segreto…” dice Chagall’s Song, e viene in mente un noto dipinto del pittore russo, La Passeggiata, infatti: “Quando volerai sopra di me… ti amo”. Un mondo magico dove le conchiglie possono sorridere (Fallin’ Apart); dove poter “cambiare il tempo per incontrarti ancora” (Sense Of You). È questo il senso del rapporto con la donna reale, è questo il senso della propria donna interiore; un vero incontro, che sia realizzazione d’identità, sviluppo, creatività. Un senso, “un senso di te”, tu, donna, tu fantasia, tu Musa.
Molti secoli dopo, molti tramonti, albe, molte lacrime e sorrisi dopo, un grande scrittore, Philip K. Dick, ci ha dato un racconto straordinario: A Scanner Darkly. Sono condotto a lui dal disco di Stefano Frollano. L’opera si apre con una canzone di struggente intensità, e si chiude con la ripresa della stessa. Il suo titolo è Hello!. In questa canzone è citato il racconto di Dick, A Scanner Darkly.
Mentre ascoltavo le canzoni di Stefano, mi veniva sempre in mente l’immagine della Musa pensosa. E non capivo il perché. Forse, mi dicevo, perché anche questo autore nelle sue canzoni tenta di “esprimere l’inesprimibile”. Ma questo è il tentativo di tutta l’arte del ‘900. Ho capito il perché accostando l’immagine della Musa al racconto di Dick. Anche Frollano celebra la grandezza della donna nella poesia, come Filisco.
Il racconto di P. K. Dick, è la storia di un agente di polizia che, sotto copertura, s’infiltra in un gruppo di criminali, per scoprire fino in fondo la loro attività. Vive con loro, si droga con loro, agisce con loro; nella casa dove abitano installa degli scanners che registrano tutto quello che accade, e che lui controlla, sequenza dopo sequenza, soprattutto nei momenti in cui si assenta, su dei monitor alla centrale; vede sempre, vede tutto. Pian piano però comincia a provare sentimenti di amicizia e si innamora di una donna del gruppo. Capisce che in loro c’è qualcosa di buono, e vorrebbe aiutarli. Vorrebbe aiutarli a trasformarsi, ma non sa cosa fare. Entra in conflitto con sé stesso, s’interroga, riflette, si lacera. Mentre pensa alla donna che ama, capisce che per dare un rapporto trasformativo, è necessario comprendere l’altro fino in fondo. E lui non sa farlo. Inorridito si rende conto di essere quasi solo uno scanner. Come lo scanner, anche lui guarda la realtà, ma non sa vedere dentro le teste e i cuori. Il suo è un guardare fisico, che non getta luce, un guardare senza verità, un guardare oscuro. Vorrebbe trovare un altro guardare, altri occhi. Per questo è necessario costringersi a trovare la propria capacità di immaginare. Solo l’immaginazione fa vedere l’invisibile, solo la fantasia fa vedere la verità, permette la fusione dei termini verità e realtà. Amare una donna significa vedere dentro la testa e il cuore, significa averla prima immaginata, perché solo questo dà una vera capacità di rapporto. È la fantasia, questa donna interiore, che ti fa capire e amare la donna reale, altro da te.
Le canzoni di Stefano affrontano proprio questo tema. Sono tutte rivolte al dramma del rapporto interumano, all’incontro-scontro con la donna, il cui senso più profondo è quello di essere un essere umano diverso. Il rapporto, il conflitto, la separazione, una tristezza e una gioia di vivere, la ricerca della fantasia, di quella immagine interiore di donna che sola ti dà la verità e la verità del rapporto. Questa la poetica dell’autore: la ricerca di un guardare non fisico della realtà, la ricerca d’un vedere la realtà non fisica.
È questo il senso di Hello!, con la splendida citazione: A Scanner Darkly, un oscuro guardare.
La canzone è interpretata dalla voce maschile dell’autore, mentre la ripresa della stessa, alla fine del disco, è interpretata dalla voce femminile. Per superare un oscuro guardare bisogna trovare la fantasia, l’immagine interiore di donna; la propria identità maschile, la sua voce, si fanno tra parentesi, e la canzone di apertura alla sua ripresa, alla fine dell’opera, trova la voce femminile: è la fantasia, la donna interiore dell’autore che canta.
È questa la grande intuizione di Stefano Frollano.
Hello! è canzone di grande malinconia, di struggente dolcezza. È la chiave di lettura di tutte le canzoni: superare un guardare oscuro.
In Hello!, si racconta della perdita di qualcuno, di una separazione definitiva. La scoperta del proprio oscuro guardare fa trovare il dolore. Gli occhi si riempiono di lacrime in cui bagnare le dita, per toccare il dolore della perdita, il dolore della propria incapacità. Ma grazie a queste lacrime si trova anche la luce della speranza, la speranza di uno sguardo diverso, non solo fisico. Si può immaginare l’altro perduto, reinventarlo, trovare la sua piena verità come solo un parto della fantasia può fare. Si può trovare il senso pieno del rapporto, e di sé e dell’altro, rifiutando l’assenza. Solo l’immaginazione può scoprire chi si è perduto ancora vivo, e permettere di dirgli “Hello!”.
In apertura la voce di Stefano è come il sussurro d’un vento invernale, gonfio di luce, che spinge lontano l’oro morto di foglie cadute. L’interpretazione dell’autore, ricorda la voce di Clint Eastwood nella canzone Honkytonk Man, nel film omonimo. È un sussurro lacerato che si tinge a tratti di accenti rochi e appassionati. Hello! è l’alfa e l’omega di questo viaggio musicale.
Nella ripresa finale, le cadenze dolci e sofferte della chitarra di Stefano sono accompagnate dalla voce femminile. Si tratta di Gabriella Paravati. Straordinaria interpretazione anche questa. All’inizio è felicemente incerta, la tecnica sopraffatta dall’emozione, una voce sottilmente incrinata dal dolore, piena di commozione. Nelle prime frasi musicali sembra di ascoltar cantare una bambina, poi attraverso passaggi quasi impercettibili, le frasi che seguono sembrano interpretate dalla stessa però divenuta adolescente, e le successive, con nuovi colori, sembrano cantate dalla stessa con la sicurezza di una donna adulta.
Le altre canzoni alternano diverse voci femminili (Daria Venuto, Chiara De Nardis, Paola Casella e Laura Visconti). Rappresentazioni della fantasia dell’autore, che di volta in volta s’incarnano in diverse donne reali. E sempre cercano un’invenzione di linguaggio che racconta di separazioni, di tenerezze, di lacrime e sorrisi, di innamoramenti. “Quando ti sveglierai in un cielo segreto…” dice Chagall’s Song, e viene in mente un noto dipinto del pittore russo, La Passeggiata, infatti: “Quando volerai sopra di me… ti amo”. Un mondo magico dove le conchiglie possono sorridere (Fallin’ Apart); dove poter “cambiare il tempo per incontrarti ancora” (Sense Of You). È questo il senso del rapporto con la donna reale, è questo il senso della propria donna interiore; un vero incontro, che sia realizzazione d’identità, sviluppo, creatività. Un senso, “un senso di te”, tu, donna, tu fantasia, tu Musa.