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EDICOLE GREVI
Diego Leverić, in arte Edicole Grevi, è un musicista specializzato in liuti di epoca barocca. Il suo primo CD da solista “Weiss à Rome” è stato premiato con il massimo di 5 stelle per l’aspetto artistico e tecnico da Amadeus, prestigioso mensile di musica classica. Il prossimo disco intitolato “Lute Concertos” Leveric suona da solista le musiche per il liuto e orchestra. Con il suo ensemble ArtiCoolAzione e il contro-tenore Leandro Marziotte ha pubblicato cantate inedite napoletane per la rinomata casa discografica Arcana (Outhere). Si è esibito in tutta Europa, in Argentina, Brasile, Siria, Giappone e in Cina, in alcuni luoghi tra i più importanti per la musica classica e barocca come il Conservatorio Tchaikovski di Mosca, la Shanghai Symphony Hall, la Fudan University a Shanghai, il Conservatorio Antonio Vivaldi di Alessandria, il Sanssouci Festival di Podstam, VBV a Varaždin
Queste poche righe di accompagnamento all’ultimo lavoro discografico di Diego Leveric non parleranno di musica, è quasi sempre inutile parlare di musica che trova la sua collocazione principale se non unica nell’ascolto e non nel racconto, essendo la narrazione di ciò che stiamo per ascoltare un vacuo esercizio di retorica, ma di cosmo, di Bach e di liuto qualcosa deve essere detto. In greco kósmos significa ordine, e nelle musiche che ci offre Leveric in questa incisione si avverte la ricerca ferrea, a tratti spasmodica, di un ordine che renda possibile essere subito dimenticato per affrontare il colosso di Lipsia con una libertà espressiva e interpretativa che può sembrare, forse, superficialmente sfrenata e anarchica ma che obbedisce a un lavoro di scavo e di sezionamento della partitura che avvertiamo profondissimo, un lavoro che ha permesso a Leveric di restituirci queste brani senza l’affanno della precipitazione o la paura della lentezza, configurando una interpretazione marcata, sensuale, introducendo una serie di ornamentazioni scelte con grande coraggio e personalità, contribuendo a rendere evidente quella che dovrebbe essere la stella polare di ogni atto performativo, sia esso musicale o meno, la gioia e il piacere di farlo, gioia e piacere che trasudano da ogni singola nota contenuta in questo disco.
Perché parlare tanto di ornamentazioni? Perché sono una delle figure principali che sono sottese all’idea di questo progetto: le ornamentazioni sono gruppi di note, appunto ornamentali, che vengono inserite nella linea melodica con una funzione non strutturale ma di abbellimento, di decorazione del ductus melodico, in questo caso quello di Bach. Ci vuole coraggio, abnegazione tecnica e rispetto dell’originale che non può però essere una rigida osservazione solo di quello che c’è scritto ma che deve nutrirsi di una luce nuova, di una Gesamtüberblick, una visione complessiva di quello che si sta per andare a eseguire, senza percorrere la vetusta e scontata via della resa filologicamente perfetta ma già usurata: Leveric sceglie la strada del non ancora sentito al posto di quella della ripetizione sterile del già fatto. Per Bach stesso il contrappunto era il regno della libertà, la “fonte della seduzione” come aveva scritto uno dei suoi più acclamati studiosi, Roland de Candè: lo stile galante era considerato da Bach troppo nudo, povero di emozioni, da qui la necessità di abbandonarsi al contrappunto, alla nota che fugge da sé stessa e che in un continuo rimando, in un gioco di specchi di toni e armonie introduce una ventata poderosa di aria su una partitura che prima appariva piatta e immota. La stessa libertà è quella che ha scelto Diego Leveric nel riscrivere col suo liuto le musiche contenute in questo disco, una proposta audace, una sfida con sé stesso e con gli ascoltatori: un solo strumento, un liuto, che in queste interpretazioni sfoggia un timbro rotondo, sontuoso, avvolgente, il che denota il grande lavoro tecnico-strumentale fatto per arrivare a questi livelli (solitamente la grande facilità tecnica, la naturale capacità di superare ardimenti strumentali con una certa dose di talento innato spinge l’esecutore a presidiare il trito tassello del virtuoso di fine ottocento, tante note veloci per stupire il pubblico, in una sorta di perverso effetto circense, ebbene in questo caso no, la tecnica è assolutamente ancillare e gregaria dell’espressività) e la ripulitura di una serie di stereotipie esecutive che di solito tendono a incardinarsi sulla ripetizione filologicamente corretta dei brani. book.indd 3 20/08/20
La suite in sol minore per liuto BWV 995, identica alla quinta suite per violoncello (BWV 1010) di Bach trova, quindi, in modo quasi inatteso nuova linfa espressiva e godibilità in questa versione. Il termine godibile non è stato scelto a caso, come nulla è lasciato al caso nella esecuzione della suite, celeberrima, che sconta come buona parte del repertorio bachiano lo stigma del già sentito, del già visto, del già goduto. Ebbene in questa esecuzione non troviamo quasi niente che non sia nuovo e che scorra nell’ampio alveo della originalità interpretativa. Leveric aveva davanti a sé due strade, già tracciate da altri: la prima quella della esecuzione tecnicamente perfetta ma anodina, un catalogo srotolato con una percettibile, sottostante noia, di perizia tecnica e convenienza espressiva, la seconda quella dell’azzardo e della esegesi extra-ordinaria da fare cadere qua e là nel corso della esecuzione, afferrando al volo il rischio della nuance interpretativa da ricondurre subito nel canone, consolidato, della filologia barocca. Ebbene, nessuna di queste due strade viene scelta; dopo le prime tre, quattro note Leveric scollina e comincia la sua rilettura fatta di un suono caldo e pastoso, di una perizia tecnica che si dimentica di sé stessa e diventa pura espressione, di una freschezza che comincia dalle primissime note del Preludio per arrivare a un Presto che non può non evocare dei movimenti di danza, degli arti che avvertono imperioso il bisogno di muoversi. Arrivati alla Sarabanda ci si ferma, come si sarebbe solito fare davanti a un dirupo, in questo caso non per evitare di caderci dentro ma per poter vedere meglio cosa c’è in fondo al dirupo: è una Sarabanda di una compattezza quasi fisica, sono corde che scattano e vengono sfiorate con una autorevolezza che non accetta compromessi, che diventa pura Essenza, Wesen nella sua accezione quasi heideggeriana. Perché scomodare Heidegger per un liutista che suona Bach? Perché in questa interpretazione Diego Leveric, forse inconsciamente, nelle decine di abbellimenti che inserisce nelle due esecuzioni, non è alla ricerca della bella esecuzione, del bel suono, della tecnica perfetta, ma di una VERITA’ musicale e umana che traspare, potente, in ogni parte della suite, una verità che in questo caso non è un valore che può essere afferrato e poi messo sul comodino delle certezze acquisite ma un processo in cui l’uomo mette in gioco tutto sé stesso accettando il rischio di fallire. In questo caso il fallimento non arriva, la risposta arriva forte e cesellata dal liuto di Leveric, che si imbarca in una sua personalissima e altamente apprezzabile gestione dei pieni e dei vuoti, della nota singola e dei grappoli di note che si stagliano con una nettezza quasi clavicembalistica, e si lancia con un rispetto immenso della fonte originaria che viene però bilanciato dalla sua forte personalità di esecutore in una serie di ornamentazioni che sono un contrappunto nel contrappunto, che non stravolgono il dettato musicale che viene pienamente rispettato in tutte le sue dinamiche ma che si situano nel punto più alto della esegesi del testo musicale, interpretando con soverchiante personalità Bach ma non tradendolo mai. C’è un fortissimo amore per la sua musica in questo disco, c’è uno scorrere carsico fatto di grande energia e di uno srotolamento di senso che solo chi ha il coraggio di prendersi grandi rischi riesce ad afferrare: Diego Leveric è andato davanti alla statua di Bach a Lipsia, di fronte alla Thomaskirche, l’ha guardata con la dovuta reverenza e poi, con calma, poco per volta, le ha tolto un po’ della polvere che si era depositata in tutti questi anni. Il risultato è questo disco, nel quale non troverete un solo granello di polvere ma tanta musica lucente, fresca, intensa. Attribuire opinioni ai morti è sempre pericoloso oltre che inutile ma in questo caso ci sentiamo di scriverlo, Bach ne sarebbe stato contento. Se amate farvi domande complesse, questo disco può aiutarvi a trovare le risposte che cercate.
Igor Daniele Ebuli Poletti