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LA LUCE NERA | di Alfredo Bianchi Scalzi
C’è l’analisi di tutta una vita nel bel libro di A. Bianchi Scalzi che, partendo da una precisa tematica, quella dell’esigenza e della ricerca della fede e nel contempo dei dubbi su di essa, opera uno scavo dell’anima sola con se stessa, talvolta protesa al divino e al suo mistero, talvolta prona, chiusa in sé, cosciente dei propri limiti, difetti, errori. Nella ridda di ricordi, sensazioni, emozioni positive e negative, le fragilità dell’uomo si delineano nette ed inequivocabili. L’Autore manifesta coraggio ed umiltà nel mettersi a nudo, senza remore, infingimenti, senza traccia d’ipocrisia, ovvero di quell’ottavo peccato capitale che egli aggiungerebbe ai sette noti e di cui, per massima parte, ammette la colpevolezza. Confessa di essere consapevole che la sua vita, costellata d’incompiutezza, non sempre ha quagliato. Ne conseguono insoddisfazione, amarezza, solitudine, impotenza di non poter più rimediare a ciò che è stato e soprattutto la consapevolezza di un’esistenza troppo breve, inadeguata al tempo che si vorrebbe ancora utilizzare al recupero, perché spesa su sentieri di brame terrene, labili, caduche, insoddisfacenti, insulse. Tuttavia, accanto a queste componenti interiori di disagio, non sfuggono altre sfaccettature che oltrepassano la luce nera, svelando il Giano bifronte che è presente nell’Autore, che ne illuminano la parte più profonda dell’anima, capace di afflati genuini, puri, semplici, come quando il cuore avverte il bisogno di affermare: “C’è più universo/ in noi/ che fra le stelle”.
L’ambiente ecclesiastico, frequentato fin da bambino, ha plasmato intellettualmente e culturalmente l’uomo, ma non lo ha reso bigotto, perché egli non ha mai accettato passivamente il credo cristiano e i suoi dogmi. In lui parimenti ha preso corpo la forza dell’intelletto che non ha mai ceduto a suggestioni puramente emotive né a cupe e rigide interpretazioni medioevali o giansenistiche, mantenendo saldo quel libero arbitrio che dovrebbe essere l’essenza del vero cristianesimo. Inoltre in queste pagine rimangono inestinguibili la ricerca dell’Eterno e la necessità di un contatto intimo e riservato con Lui. Anche nel dubbio che, talvolta, la ragione adduce, la speranza che Dio esista non si annulla anzi prevale, come quando scrive “Potrai, Signore/ nel momento supremo/ dimenticare il mio errore/ estendere anche su me/ il riflesso dell’arcobaleno?”.
Infine tra i molti limiti umani, tra i peccati e l’autocritica che l’Autore opera su di sé, rifulgono valori e comportamenti degni di essere menzionati: il senso della carità, l’importanza dell’amicizia, la rivalutazione degli antichi mores, l’amore traboccante per la vita, la cui straordinarietà è solida certezza.
Accanto alla chiusa del libro “E’ stato bello vivere,/ sarà bello,/ forse,/ anche morire”, nelle orecchie risuona l’eco della domanda: “Come si può desiderare davvero ciò che non si conosce ?”, soprattutto quando il profumo ed il sapore della vita ne confermano l’arcana bellezza. (poesia da leggere pagg. 150-151)
Recensione 2016 Prof. Marisa Vigo Presidente di Giuria