- Store
- >
- Categorie
- >
- Terre Sommerse Edizioni
- >
- Libri
- >
- Prosa e Versi
- >
- Catalogo storico narrativa
- >
- La luna di Janub - Giuseppe Maria Polizzi
La luna di Janub - Giuseppe Maria Polizzi
ROMANZO
“Di Claire mi piaceva catturare gli attimi. Derubare di un improbabile divenire la
pulsione scomposta e feroce di un volere acerbo. E scorgere nell’accenno di un’intenzione
il fremito di un respiro. Il ridestarsi di una solitudine. Danzante alla luna…”
La fragile e deludente necessità di apparire e la forte e convincente tentazione di essere
o forse… ritornare ad essere.
Il desiderio di autenticità che è al tempo stesso feroce affermazione dell’urgenza di
spogliarsi, di emendarsi da una bugia, da un errore metafisico.
La ricerca di sé stessi passa invero per un squarciare la millenaria roccia liberando
un fuoco in castigo. Rinnegare un’identità attuale e ricercarne una nuova, fosse questa
anche la memoria di una felice reincarnazione o una sua debole caricatura. Perdersi in
tutte le notti di un sistema lunare, per poi magari ritrovarsi in dolce compagnia...
Ricordarsi che non si può essere ora se non si è stati un tempo.
Ed in questo malinconico ufficio al quale è destinata quell’umanità, cui l’inutile periodar
della favella del mondo esprime forse più un disagio che una rassicurazione al
mal vivere quotidiano, ov’è dolce il suono della parola che dice e ridicolo il suo senso…
riscoprire una dolce tentazione. Capire che la vita autentica non abita nel centro storico
della propria esistenza ma, nelle sue desolate periferie I suoi sobborghi. Accumuli di
rioni e quartieri riempiti di uomini stanchi e scuri, di giardini appassiti, di aiuole spettinate,
di fermate di bus vuote. Di alberi orfani di fogliame. Di fontane asciutte. Di lampioni
spenti pure di notte. Di cancelli chiusi e arrugginiti. Di viali deserti, di strade
vuote. Di silenzi ovunque.
E pensare che basterebbe fare qualche passo più avanti, girare l’angolo e attraversare
un ponte, lì, al prossimo incrocio. Bisogna attraversare un ponte per avvertire un nuovo
battito, per scorgere una nuova estensione del sé, sia anche la sua meno riuscita controfigura.
Entrare, sporgersi, toccare e sporcarsi le mani forse anche di un’orrenda inciviltà,
e… tutto il resto…! Capire che è proprio lì che sta il nostro mondo. Ad una distanza
molto più vicina rispetto alla titubanza delle nostre intenzioni.
Già, lo stesso ponte di Janub, il ponte del sud, quella magnifica idea che una miserevole
umanità abitante di meridiani e paralleli occidentali sempre più decadenti, trasformerà
in fortuna per pochi e in rovina per tanti.