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SOTTO LA QUERCIA DEL... TANGO
Ci vuole un tango
Ci vuole un tango che vi sobilli l'anima che vi scuota le mani, imprigionate da catene, dall'oblio dalla paura di esistere e respirare.
Ci vuole un tango che vi parli di quel fuoco che vi arde nell'anima, che vi tenda come fa la sua voce quando l'ascoltate e vi fa tremare come foglie e vi lacera e vi esplora come una musica lontana.
Ci vuole un tango per colmare il vuoto dell'assenza che vi circonda, il vuoto che lasciano i suoi abbracci, il suo sguardo, la malinconia di un abbandono...
Ci vuole un tango che sradichi da voi quel senso di sentirvi riflesso nel bianco del nulla, lacerarti il corpo ed il cuore senza sanguinare nella sua suadente melodia ...
Ci vuole un tango per comprendere l'alma del mondo......
Milonga
La notte che stordisce e nasconde, le storie d’amore che nascono e muoiono al ritmo del tango, le fantasie che non si concretizzano,
le solitudini che si mascherano,
i sogni che occultano il vuoto,
la necessità della finzione, quella strana chimica che riesce a unire due persone che a volte non si conoscono,
ma anche il godimento corporale e spirituale delle notti di milonga.
Come l’andare e venire del mare sulla riva, i ballerini comunicano e poi si perdono nella musica e nei passi e a volte diventano protagonisti di una storia d’amore, anche se, presto o tardi, riapparirà il disincontro, la caduta della finzione.
La milonga è una finzione, una delle tante che crea l’essere umano per uscire dall’angustiante buco esistenziale, e come tale è un dolce inganno, ma comunque un inganno.
Passano gli anni, ma i personaggi sono sempre lì, agli stessi tavoli, sulle stesse sedie, ballano sulla stessa pista, hanno bisogno di stare lì, non farlo equivarrebbe a negarsi l’esistenza.
NON SONO MAI ANDATO VIA
“Lontano Buenos Aires come si sta bene, sono già dieci anni che mi hai visto partire”
Quel giorno feci tardi e non mi restò che andare a un Mac. Entrato, vidi che un tipo con la testa rapata mi osservava. Doveva avere più di sessant’anni.
Il pelato si avvicinò e disse alla cassiera di mettere la mia ordinazione sul suo conto.
Tutt’a un tratto capii.
Era Orlando, quel milonguero “quarant’anni di pista” che avevo conosciuto, quando Madonna girava a Buenos Aires il suo Evita “on the rocks”.
“Che fai di bello, ragazzo, sto mangiando qualcosa, ti invito” mi disse con la bocca piena di pane, hamburger, patatine fritte e gazosa.
Non so come poteva parlare e ancor meno come capii quello che disse.
Era irriconoscibile.
Testa lucida, orecchini, abiti strani e parlava quasi tartagliando.
Allora mi accorsi che aveva tre anelli nella lingua.
“Cosicché sei tornato” gli dissi per dire qualcosa.
“Come diceva Pichuco Troilo al ritorno dal Giappone o dall’Europa, non me ne sono mai veramente andato da Buenos Aires” rispose con dignità.
“Ma andasti via” insistetti stupidamente.
“Sì ragazzo” disse seccamente, ”quando quella tedesca che conobbi nella milonga mi invitò ad andare in Europa, lasciai il lavoro comunale da duecentonovanta pesos e la seguii. Adesso do lezioni di tango a Francoforte” mi spiegò mentre finiva di masticare l’ultima parte del suo dolce alla banana.
Con l’ingenuità di noi che siamo restati, gli chiesi come se la cavava con la lingua straniera.
Mi guardò fisso.
”Parlo tedesco, inglese e anche un po’ di arabo“ mi disse quasi con disprezzo.
“Non ti offendere, Orlando, ma tu neanche dello spagnolo eri padrone” gli puntualizzai con sana curiosità.
“Il fatto è che il vero idioma universale è il tango e quello lo conosco da quando ero alto così”rispose ridendo, mostrando denti smaglianti dove prima aveva buchi neri e indicando con la mano l’altezza di un ragazzino di tre o quattro anni.
“Ecco perché non mi sono mai veramente allontanato da Buenos Aires”.
Dopo che Orlando se ne fu andato, rimasi a guardare la strada.
Ero contento del fatto che al mio amico era andata bene.
Però mi chiedo se non sia ora di fondare un partito politico che lotti unicamente perché noi argentini che ancora stiamo qua, possiamo ottenere che ci vogliano adottare e portare via con loro. E per di più potremmo ballare per loro quell’idioma universale come soltanto noialtri sappiamo farlo.